19 gennaio 2018

Essere genitori di un giovane atleta. [Come dovremmo essere]




Essere genitori di un atleta, tanto più se giovane, non è poi così semplice. Presente!

Mamma di Samuele, 12 anni. Appassionato, no scusate preciso, ammalato di basket. Già difficile essere genitori, ancora peggio genitori di un figlio in fase adolescenziale che è un giovane atleta.

Ma come dovrei essere sul campo e fuori, per essere una buona madre "sportiva"? 

Partiamo subito a razzo: l'emozionalità che consegue nell'avere un piccolo atleta in erba (ogni scarrafone è bello a mamma soia) in casa, spesso rischia di rovinare anche il nostro ruolo di tifosi: scatta l'urlo e il nervosismo ed è un attimo che diventa "l'insostenibile leggerezza della tribuna". Adrenalina per la vittoria e tristezza per la sconfitta, in realtà, non dovrebbero influenzare il ruolo: un genitore deve rimanere sempre un genitore, tifoso, ma nient'altro.

Ma come sempre, in Italia i tuttologi si sprecano ed ecco che siamo tutti allenatori, direttori sportivi, preparatori atletici, fisioterapisti, giornalisti, istruttori e soprattutto grandi allenatori. Troppo spesso siamo grandi, grandissimi allenatori con un'esperienza ventennale. 

In realtà sarebbe meglio essere solo genitori, probabilmente basterebbe e avanzerebbe

Il primo vero mantra di tutto è questo: mai entrare mai nelle scelte tecniche. Ripetetevelo fino alla nausea, fino a quando non ne sarete così convinti da farlo in automatico.



Esiste uno dei tanti libri americani, in cui ci sono almeno 9 ottimi suggerimenti da stampare e imparare a memoria: "Sport psychology for coaches and parents" di Smith and Kays

1) Applaudire e incitare, non sbraitare urlando 

I nostri ragazzi non sono noi. Non sono quelli che non siamo stati e mai lo saranno. Sono dotati di una loro personalità, una loro vita, una loro sfera. Inutile rimproverarli ogni volta dagli spalti: perché quando il tono di voce si alza, quello è il concetto. Mai essere giudicanti, mai fargli percepire che proprio noi non accettiamo i loro risultati, critichiamo il loro allenatore, accusiamo i loro compagni. 
Restiamo fuori dalle parti tecniche: e se dobbiamo discutere di qualcosa, approfondiamo direttamente con il coach in privato. A prescindere dal risultato, sarà sempre il massimo impegno e la massima voglia a farlo entrare in campo. 

2) La regola delle 24 ore

Aspettiamo sempre questo tempo per riparlare o riprendere argomenti da chiarire. Dopo 24 ore l'emotività può e riesce ad essere controllata: ciò aiuta a mantenere il ruolo di genitore e non di allenatore (niente parte tecnica, ricordate?)

3) Lasciare che l'allenatore alleni

Scontato? Non così tanto, in realtà. Puoi non essere d'accordo con lui, ma il ruolo e l'uomo che hai di fronte, deve essere prima di tutto rispettato. Se c'è qualcosa per cui discutere, sarà sicuramente disponibile a farlo in privato, lontano da tuo figlio. E se proprio ti dovessi scontrare con chi non ti piace, hai sempre una validissima alternativa: andare altrove.

4) Evviva il senso dell'umorismo

Divertimento. Sempre e comunque. Se no lasciate perdere e continuate a mandare vostro figlio al campetto dell'oratorio: avrà molte meno menate e tornerà a divertirsi. Vincere o perdere una gara non cambierà di sicuro l'assetto dell'asse terrestre. Ciò significa che comunque, ogni santa partita, deve rimanere un gioco. Sicuramente sarà un'ottima giornata se la vittoria arriverà, ma è anche vero che se il ragazzo avrà un continuo senso di stare bene e divertirsi, le vittorie stesse arriveranno. 

5) Direttori di gara e arbitri: la pazienza prima di tutto

Partiamo dal presupposto che ce li mangeremmo in un sol boccone, respiriamo, fermiamoci, e pensiamo che prima di tutto sono essere umani che amano lo sport e non si sentono poi nemmeno così bene ad avere folle di genitori urlanti che inveiscono contro di loro. Esistono gli errori, anche da parte loro. Portiamo pazienza.

6) Le colpe specifiche lasciale da parte

Non esiste mai un solo motivo per aver vinto una partita, ma nemmeno per averla persa. Come una squadra che è composta da diversi elementi e altrettante sfaccettature, anche queste due conclusioni hanno lo stesso DNA. Non sarà mai solo colpa di un unico giocatore, quindi evita di incolpare chiunque, ma considera tutti. Ed evita proprio di incolpare.

7) Età e capacità relative all'età

Punto numero 1: solo chi non impara nulla, non fa errori. Infatti ogni volta che un bambino fa un errore, sta apprendendo il modo per migliorare. L'errore non è mai intenzionale in questo caso, quindi la pazienza della crescita porterà i risultati dovuti. Inutile volere un percorso di un'età differente.

8) Sii un ottimo esempio

Appunto. Se proprio ci pensiamo non è che lo siamo così tanto sugli spalti, a dire il vero...
Santa adolescenza, prega per noi! Lo sapete che è proprio in questo momento il picco in cui i ragazzi ci vedono come esempi? Siamo le persone più importanti al mondo, e loro spugne che osservano e imparano da noi. Quindi i nostri comportamenti e le nostre parole sono ciò che andrà a formare le loro basi di adulti. Facciamoci delle domande prima di agire e dire...

9) Insegna ma non fare pipponi

Anche qui sembra semplice, ma non è proprio così. Racconta ai tuoi figli delle tue esperienze e chiedigli delle loro; cerca di entrare nel loro mondo, ma non pretendere che loro entrino nel tuo: non ne sono ancora in grado.
Nessuno ama il cazziatone dopo aver sbagliato; insegnagli la vita, non dare lezioni sulla vita.

Anno nuovo, vita nuova. Spero che questo 2018 riesca a farmi diventare più tifosa e meno allenatrice, più mamma e meno tecnico. E soprattutto porti a lui tutto ciò che di meglio posso insegnargli. 

Dentro e fuori dal campo.




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